PUTTING PANTS ON PHILIP (3 dicembre 1927, regia di Clyde Bruckman)
Girato nel settembre del 1927 e uscito nel dicembre dello stesso anno, PUTTING PANTS ON PHILIP è una di quelle commedie straordinarie che solo gli studi Hal Roach erano in grado di produrre. Il protagonista del film è Stan Laurel, coprotagonista Oliver Hardy, tanto che non
sarebbe quasi da considerare un film di coppia in senso stretto. Philip (Stan Laurel) è un ragazzo
scozzese, con tanto di kilt, mandato da sua madre a fare un viaggio negli Stati Uniti, dove è
atteso da suo zio Piedmont Mumblethunder (Oliver Hardy), noto e rispettabile cittadino del
luogo. Philip si rende ridicolo durante l’esame di un agente dell’emigrazione che vorrebbe
stabilirne lo stato di salute. Suo zio Piedmont se la ride insieme agli altri spettatori della scena,
fino a quando lo vediamo rendersi conto che il bizzarro arrivato è proprio suo nipote.
Imbarazzato dalla sua apparenza con il gonnellino, Piedmont si rifiuta di camminare fianco e
fianco con Philip, costringendolo a seguirlo dietro di lui. Ma il vero problema è un altro. Philip ha
una selvaggia passione per le donne. Alla vista di una bella ragazza (Dorothy Coburn), non riesce
a fare a meno di saltare e correrle appresso eccitato. Ogni volta una folla di curiosi si precipita
accalcandosi nel punto dove il bizzarro maniaco sessuale viene fermato da un agente. Questa
situazione si verifica più volte, divenendo il leitmotiv del film. Le varianti sono sempre più
divertenti. A Piedmont basta notare le corse sfrenate dei curiosi nella stessa direzione per
avanzare il sospetto della recidività di suo nipote, timore che si rivela sempre esatto (anche
quando Philip dovrebbe essere apparentemente “sotto controllo”). Oliver Hardy in un’intervista
del 1954 a John McCabe disse di aver meritato il suo stipendio considerate tutte le cadute della
sua lunga carriera e le volte in cui dovette immergersi in pozze piene di fango. Aveva ragione,
era senza dubbio un predestinato per scene del genere. Basta vedere il Max Davidson WHY
GIRLS SAY NO di qualche mese prima per rendersene conto. La sua caduta nella pozzanghera si
rivela l’ultima gag di PUTTING PANTS ON PHILIP, che si chiude con un suo irresistibile camera
look. Il film ha delle scene memorabili e metaforiche davvero molto avanti per il tempo. Quando
Piedmont porta Philip dal sarto per fargli fare i pantaloni (che Philip non indosserà mai!), questi
si rifiuta di farsi misurare la gamba appena la mano del sarto viene a contatto con il suo
gonnellino. Per riuscire nell’intento di prendergli le misure, deve essere lo stesso zio a
rincorrerlo per tutto l’appartamento. Non ci viene mostrato in che modo Piedmont riesca a
farlo, l’unica eloquente inquadratura ci mostra un Philip affranto, con i vestiti in disordine, quasi
come fosse stato vittima di una violenza sessuale. La messa in scena di riferimenti alla sessualità,
impliciti o meno, fa di PUTTING PANTS ON PHILIP un’opera terribilmente avanti rispetto
all’epoca della sua uscita. Avanti perché mostra, senza gravezza alcuna, quello che film più “seri
e impegnati” non avevano il coraggio di mostrare appieno. Per il 1927 certe scene erano una
novità. Filmare appetiti sessuali così palesi, selvaggi e privi di ogni controllo e convenzione,
viaggiava di pari passo con quelli più sottili, ma non meno eloquenti, evidenziati in alcune
commedie di Charley Chase. In una scena di PUTTING PANTS ON PHILIP Stan Laurel si prende la
soddisfazione di anticipare Marilyn Monroe di quasi trent’anni. Il suo gonnellino viene sollevato
più volte dai gettiti d’aria dei tombini. Come può non venire alla mente THE SEVEN IYEAR ITCH
(Quando la Moglie è in Vacanza) del 1955? Ma la versione di Laurel è molto più ardita. Dopo
aver perso la sua biancheria nella scena precedente, il nuovo passaggio ventoso lo mostra agli
astanti esattamente come mamma l’ha fatto. Quel che possiamo vedere noi spettatori è la
reazione delle donne, che svengono alla vista dei suoi attributi.